I lavori riguardanti il complesso rupestre di San Falcione sono individuati nella sezione Civiltà Rupestre del progetto Parco della storia dell’uomo appaltato da Invitalia, la cui documentazione pubblica si trova al link:
progettazione -
lavori.
Dati e riferimenti normativi
Dati catastali: Comune F052 - foglio 74 - particella 1 (i lavori insistono anche sulle particelle 159, 161,199, 200)
Coordinate: 40.6763907,16.6281898 -
Mappa
Per la cripta rupestre esiste un vincolo specifico:
MIBACT:
Codice: 3051829 - Data atto: 08-04-1968 - Rif. Art 4 L. 1089/1939 - Tipologia: Architettura
SABAP Basilicata: MATERA -
Cripta di San Pietro in Principibus
In tutta l’area descritta insistono le seguenti normative nazionali, regionali ed internazionali:
- D.Lgs 42/2004 articoli 10 e 142 lettere F e M
- Legge 771/1986
- Legge 394/1991
- Leggi Regione Basilicata 11/1990, 28/1994, 2/1998, 51/2000
- Piano del Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano
- Sito UNESCO World Heritage List - criteri III - IV - V
Per quanto attiene al Piano del Parco la chiesa rupestre di San Pietro in Principibus si trova nella Zona B - Riserva generale, con classificazione paesaggistica: eccezionale/elevato attinente agli aspetti naturalistici, geomorfologici ed antropici.
Stato dei luoghi prima dei lavori
E’ la chiesa rupestre che vanta il maggior numero di nomi riportati negli atti ufficiali degli enti pubblici interessati (Comune, Soprintendenza, Ente Parco).
Nel catasto dei beni culturali del Comune di Matera (Codice VI359) viene denominata San Pietro ai Tre Ponti o San Nicola all’Appia, nomi che fra loro marcano una sostanziale differenza di luoghi e di santi. Dal 1966 per opera della Scaletta la chiesa viene chiamata San Pietro in Principibus e in questo modo viene catalogata dalla Soprintendenza e nei vincoli che del Ministero.
E’ anche l’unica chiesa rupestre che vanta la presenza di parte della documentazione di interesse culturale (che dovrebbe essere pubblica) sul
sito della Soprintendenza nell’elenco beni tutelati di Matera.
In questa pagina infatti è presente la planimetria e la
relazione che corredano il decreto (non pubblicato) che ne dichiara l’interesse culturale e ne impone la tutela ai sensi di legge.
La relazione non è fatta dalla Soprintendenza (come nel caso del Villaggio Neolitico ad opera di Dinu Amadesteanu) ma come riportato in calce nel documento dalla Scaletta. In questa relazione vi sono delle attestazioni totalmente arbitrarie come il fatto che l’ambiente che si trova dietro la chiesa sia stato scavato da pastori successivamente rispetto alla chiesa, ma sulle pareti di questo ambiente successivo sono graffite immagini primitive. Un fatto eccezionalmente impossibile e per questo non si capisce come possa essere possibile amministrare un bene culturale da parte di qualsiasi ente conservando un decreto di questo genere.
Così come arbitrario il fatto che davanti la chiesa vi siano parti crollate, stessa supposizione, oramai luogo comune, anche per Madonna delle tre porte.
Questo perchè nessuno finora ha fatto una semplice e ovvia considerazione sul fatto che le chiese rupestri sono state realizzate in luoghi già precedentemente scavati e utilizzati dall’uomo, cosa che nel Parco della Murgia Materana può essere avvenuto in un qualunque momento dal paleolitico fino al medioevo.
Tornando ai graffiti preistorici comparsi non si sa come nell’ambiente scavato dai pastori successivamente alla realizzazione della chiesa, la Scaletta conclude la relazione di vincolo della Soprintendenza scrivendo testualmente:
"sulle pareti sono graffite immagini primitive; un sole, un fantaccino, una casa, un quadrupede ecc... ".
Premesso che il fantoccino non è una immagine primitiva (fig. 9), l’ambiente che si trova dietro l’ingresso ad archi contiene in realtà un numero elevatissimo di incisioni rupestri, alcune astratte, altre zoomorfe altre antropomorfe, che certamente sono state prodotte in tempi molto diversi, cosa di enorme interesse per comprendere l’utilizzo da parte dell’uomo delle strutture rupestri del Parco.
Queste incisioni erano parte del progetto scientifico proposto da Codice 21, che ne prevedeva lo studio e la datazione grazie alle concrezioni presenti e ai relativi mutamenti chimici prodotti sulle superfici parietali nel corso delle decine, delle centinaia e delle migliaia di anni a seconda dei casi.
Il progetto approvato ed appaltato da Invitalia prevede nelle chiese rupestri processi di pulizia o lavaggio, come immaginabile dai bidoni di materiale liquido che si intravedono all’interno del cantiere, fatto che precluderà la possibilità di studio e datazione.
Di seguito le immagini che attestano lo stato del bene culturale e del contesto dei luoghi prima dei lavori.